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I kurdi stanno coltivando legami propri con gli Usa


Lo spot televisivo di trenta secondi reclamizza le emozionanti scene di un giovane iracheno che "batte un cinque" con un soldato Usa, una sala da pranzo occidentale all'aperto, e uomini e donne che ballano insieme. "Hai visto il nuovo Iraq?", chiede la voce narrante. "E' spettacolare. E' gioioso". "Benvenuti nel Kurdistan iracheno!", continua la voce narrante. "Non è un sogno. E' l'altro Iraq." Con arabi sunniti e sciiti bloccati in una sanguinosa guerra civile, i kurdi iracheni stanno promuovendo i loro interessi attraverso una campagna per acquisire influenza negli Stati Uniti, che comprende annunci pubblicitari sulla televisione diffusa su tutto il Paese, assumendo potenti lobbisti di Washington, e recitando le parti del governo Usa gli uni contro gli altri...

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I kurdi stanno coltivando legami propri con gli Usa

Rajiv Chandrasekaran, Washington Post, traduzione italiana di Osservatorio Iraq

2 maggio 2007

 

Lo spot televisivo di trenta secondi reclamizza le emozionanti scene di un giovane iracheno che "batte un cinque" con un soldato Usa, una sala da pranzo occidentale all'aperto, e uomini e donne che ballano insieme. "Hai visto il nuovo Iraq?", chiede la voce narrante. "E' spettacolare. E' gioioso".

 

"Benvenuti nel Kurdistan iracheno!", continua la voce narrante. "Non è un sogno. E' l'altro Iraq."


Con arabi sunniti e sciiti bloccati in una sanguinosa guerra civile, i kurdi iracheni stanno promuovendo i loro interessi attraverso una campagna per acquisire influenza negli Stati Uniti, che comprende annunci pubblicitari sulla televisione diffusa su tutto il Paese, assumendo potenti lobbisti di Washington, e recitando le parti del governo Usa gli uni contro gli altri.

 

Un ex meccanico d'auto, cui è capitato di essere il figlio del presidente iracheno, è al centro degli sforzi dei kurdi per cercare il supporto per la loro enclave semi-autonoma, ma nel cast dei patrocinatori ci sono anche cristiani evangelici, agenti israeliani, e consulenti politici Repubblicani.

 

Nello scorso anno, i kurdi hanno speso più di 3 milioni di dollari per assicurarsi i lobbisti e mettere su un ufficio diplomatico a Washington. Stanno coltivando rapporti con gente che fa attività politica di base tra i sostenitori della politica di guerra del presidente Bush e gli evangelici convinti che molti personaggi-chiave nella Bibbia siano vissuti in Kurdistan. E stanno cercando di costruire un legame emotivo con i comuni cittadini Usa, come quelli creati da Israele e Taiwan, facendo passare spot sui canali nazionali via cavo di news, per sostenere che anche mentre l'Iraq si avvia barcollando verso una guerra civile totale, un angolo del Paese, almeno, ha soddisfatto l'ambizione dell'amministrazione Bush di una testa di ponte pacifica, democratica, filo-occidentale nel Medio Oriente.

 

Ma gli elementi della campagna dei kurdi si scontrano con la politica di un Iraq unificato sposata dai governi degli Usa e dell'Iraq. Alcuni alti funzionari Usa sostengono che cedere alle richieste kurde per una maggiore autonomia potrebbe disgregare l'Iraq e destabilizzare la Turchia, un'alleata della Nato che sta combattendo una guerriglia con i separatisti kurdi – alcuni dei quali hanno fatto del Kurdistan iracheno il proprio santuario.

 

I leader kurdi presentano la propria iniziativa di auto-promozione come un baluardo contro i tentativi di limitare i loro diritti federali. Con soli 40 mila o poco più kurdi che vivono negli Stati Uniti, i funzionari kurdi insistono di non avere altra scelta se non quella di perseguire la duplice strategia di corteggiare l'elettorato non kurdo e di fare attività di lobby a Washington.

 

"Dobbiamo usare tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione per salvarci", dice Qubad Talabani, figlio del presidente iracheno Jalal Talabani, inviato qui come rappresentante a Washington del Governo regionale kurdo.

 

I kurdi vogliono quel genere di "legame strategico e istituzionale" che Israele e Taiwan hanno con gli Stati Uniti, dice Talabani, 29 anni. "Non importa quale partito sia al potere a Washington – il governo Usa non abbandonerà nessuno di quei Paesi", aggiunge. "Noi siamo alla ricerca della stessa protezione".

 

Talabani, un ex tecnico riparatore della Maserati, è stato allevato dai nonni in Gran Bretagna e si è trasferito a Washington nel 2000, senza sapere nulla di politiche di potere. Presto ha iniziato a frequentare – e in seguito ha sposato – una dipendente del Dipartimento di Stato che lavorava sulla politica irachena. Indossa camicie con il polsino francese e cravatte con il nodo alla Windsor, insieme a completi gessati. Pranza al Club Bombay e lavora a due isolati dalla Casa Bianca.

 

Ha più influenza di qualsiasi altro iracheno a Washington per la sua capacità di chiamare direttamente suo padre, e perché rappresenta la visione collettiva di una minoranza influente – una che possiede abbastanza seggi nel Parlamento iracheno per esercitare un potere di veto effettivo su una proposta di legge per distribuire i proventi del petrolio nazionale agli iracheni, così come ogni altra legge che gli Stati Uniti vogliano fare approvare. Per contro, l'ambasciatore di Baghdad a Washington è un arabo sunnita laico, che ha una influenza limitata verso il suo governo dominato dagli sciiti.

 

Talabani ha contatti regolari con gli alti funzionari della Casa Bianca. Passa a trovare i membri del Congresso, e si è incontrato con quattro dei candidati presidenziali: la senatrice Hillary Rodham Clinton (New York), il senatore John McCain (Arizona), il senatore Sam Brownback (Kansas), e il senatore Joseph R. Biden Jr. (Delaware). "Siamo stati ai margini per troppo tempo", dice Talabani.

 

Fare lobby per trovare sostegno 

 

Farsi amici negli Stati Uniti è cruciale per i cinque milioni di iracheni di etnia kurda, molti dei quali vivono in tre province montuose del nord che sono amministrate dal Governo regionale del Kurdistan, di fatto uno Stato all'interno dello Stato. Il governo regionale ha il potere di approvare proprie leggi, mantiene una propria forza di sicurezza interna, e può persino impedire l'ingresso all'esercito iracheno. La bandiera nazionale dell'Iraq in Kurdistan non esiste – ogni edificio del governo è ornato dalla bandiera kurda, rossa, bianca e verde – e i visitatori che volano a Irbil, la capitale regionale, ottengono un visto per il Kurdistan, non per l'Iraq.

 

Benché il governo regionale sia stato inserito nella Costituzione dell'Iraq del 2005, rimane un punto di tensione con gli arabi iracheni, sia sunniti sia sciiti, che vivono a sud. Gli arabi sunniti hanno affermato che la riconciliazione nazionale è impossibile senza che siano revocate molte delle concessioni date ai kurdi, in particolare una promessa di tenere un referendum quest'anno per stabilire se Kirkuk, città ricca di petrolio, in cui vivono arabi, turchi e kurdi, entrerà a far parte del Kurdistan.

 

Anche le tre nazioni che confinano con il Kurdistan iracheno – Turchia, Iran e Siria – ognuna delle quali ha una popolazione consistente di etnia kurda – sono profondamente irritati dall'autonomia kurda in Iraq.

 

Ciò che preoccupa di più i leader kurdi, tuttavia, è il loro legame con Washington. I kurdi credono di dover essere riconosciuti come una storia di successo verificabile in una guerra che è durata per più di quattro anni: sono in gran parte laici, nessun membro delle forze armate Usa è stato ucciso in Kurdistan dall'invasione del marzo 2003, e a Irbil e in altre città kurde si sta verificando un boom negli affari perché le milizie kurde, note come peshmerga, sono riuscite a tenere alla larga i ribelli arabi sunniti.

 

Tuttavia i funzionari kurdi sostengono che il governo Usa ha fatto poco per ricompensare questi successi. Il Dipartimento di Stato ammette di spendere per i kurdi il 3 per cento dei suoi fondi destinati alla ricostruzione dal 2003, anche se essi costituiscono circa il 20 per cento della popolazione dell'Iraq. I leader kurdi affermano anche che i diplomatici Usa hanno esercitato pressioni su di loro per rilasciare concessioni che indebolirebbero il governo regionale nel tentativo di placare gli arabi sunniti.

 

"Se pensano che i kurdi stiano per cedere come cuccioli zoppi, e accettare che il potere che si sono guadagnati venga tolto e assegnato a chi non ha fatto altro che ammazzare americani, allora ad aspettarli c'è una sorpresa che li scioccherà", dice Talabani bevendo un gin tonic al bar dell'Hotel Hay-Adams. "Noi esistiamo sulla carta geografica, che a loro piaccia oppure no".

 

Le attività di lobby kurde nell'era del dopo Saddam Hussein iniziarono con una richiesta di 4 miliardi di dollari.

 

I leader kurdi credevano che Oil-for-food (petrolio in cambio di cibo), il programma delle Nazioni Unite inquinato dalla corruzione, che ha regolato la vendita di petrolio iracheno dal 1995 al 2003, dovesse loro almeno quella somma. Dato che il denaro era stato trasferito in un fondo fiduciario controllato dagli Stati Uniti  poco dopo l'invasione, i kurdi rivolsero la propria attenzione a Washington.

 

Prima di allora, le due principali organizzazioni politiche kurde – il Partito Democratico del Kurdistan di  Mas'ud Barzani, e l'Unione Patriottica del Kurdistan di Jalal Talabani, avevano a Washington rappresentanti separati. L'uomo di Talabani era Barham Salih, che ora è vice primo ministro iracheno e che è diventato il mentore di Qubad Talabani.

 

Il compito di dare la caccia al denaro, tuttavia, è toccato al rappresentante di Barzani, Farhad Barzani.

 

Andando alla ricerca di aiuto per muoversi a Washington, Farhad Barzani si è rivolto a Danny Yatom, ex direttore del servizio di spionaggio israeliano, il Mossad, secondo alti funzionari kurdi ed ex funzionari del governo Usa che conoscono bene le attività dei kurdi. Il socio in affari di Yatom, Shlomi Michaels, che era alla ricerca di investimenti in Kurdistan, accettò di aiutare i kurdi a trovare un lobbista, dicono i funzionari. Le fonti hanno parlato a condizione di rimanere anonime.

 

Secondo i funzionari, Michaels inizialmente trovò Jack Abramoff, all'epoca un potente lobbista legato ai Repubblicani. Ma Abramoff, che fu poi condannato per corruzione e oggi si trova in carcere, pretese più di quanto i kurdi fossero disposti a pagarlo, sempre secondo quanto dicono i funzionari. Un lobbista americano dice che Abramoff voleva che i kurdi lo pagassero 65 mila dollari al mese. Michaels non ha risposto a diversi messaggi telefonici.

 

Russell Wilson, un ex membro dello staff Repubblicano al Congresso cui Michaels si era rivolto per un consiglio, alla fine suggerì ai kurdi di contattare Ed Rogers, un agente politico del Partito Repubblicano [GOP, Grand Old Party NdT] ed ex funzionario della Casa Bianca che gestisce una delle imprese di lobby più influenti di Washington. Il 3 giugno 2004 la Barbour Griffith & Rogers accettò di rappresentare il Partito Democratico del Kurdistan per 29 mila dollari al mese.

 

Qubad Talabani dice che l'impresa portò avanti attività di lobby alla Casa Bianca per i 4 miliardi di dollari.

 

Venti giorni dopo, il 23 giugno, l'amministrazione Usa di occupazione in Iraq diede ai kurdi 1,4 miliardi di dollari in contanti. Le forze armate Usa portarono il denaro – biglietti da 100 dollari nuovi di zecca in mazzi imballati  – a Irbil su tre elicotteri.

 

Benché i funzionari dell'autorità di occupazione sostenessero che il pagamento era la quota kurda del budget di capitale iracheno del 2004 e non era legato all'attività di lobby, i leader kurdi insistono altrimenti.

 

Gli affari della Barbour, Griffith & Rogers con i kurdi sono da allora costantemente cresciuti. Il Governo Regionale del Kurdistan ha pagato all'impresa 869.333 dollari per lavori fatti nei primi 11 mesi dell'anno scorso, secondo i moduli di divulgazione dell'attività di lobby archiviati presso il Dipartimento di Giustizia.

 

L'attività di lobby dell'azienda fu "di grande aiuto nel farci ottenere il denaro del programma Oil-for-food", dice Talabani, che ora rappresenta entrambi i partiti kurdi. "E' stata una vittoria tangibile per i kurdi".

 

Un amico nel Commercio

 

In seguito ci fu in palio una somma ancora più consistente: i 18,4 miliardi di dollari dei fondi Usa per la ricostruzione, che stavano affluendo in Iraq. Come nel caso dei soldi del programma Oil-for-food, i leader kurdi credevano di meritare almeno il 20% - la quota secondo loro equa, basata sulla proporzione dei kurdi sulla popolazione irachena.

 

Il Dipartimento di Stato la pensava diversamente. Il Kurdistan era stato difeso contro l'esercito di Hussein dal 1991 da aerei da guerra Usa che facevano rispettare una no-fly zone, e aveva beneficiato di uno sviluppo di gran lunga maggiore rispetto alle zone dell'Iraq dominate dagli arabi. Nonostante gli appelli e la vigorosa attività di lobby dei kurdi, il Dipartimento decise che la stragrande maggioranza dei fondi per la ricostruzione sarebbe andata altrove.

 

Entro il 2005, i leader kurdi decisero di cambiare la loro strategia. Il Kurdistan stava diventando un luogo di destinazione sempre più popolare per gli uomini d'affari che giudicavano Baghdad troppo pericolosa per visite o per investimenti. Piuttosto che discutere sugli aiuti, i kurdi proposero al governo Usa di incoraggiare gli investimenti americani in Kurdistan.

 

Talabani e Ayal Frank, un ex membro dello staff del Congresso e analista legislativo per l'ambasciata israeliana che era stato assunto come lobbista dal Governo Regionale del Kurdistan, scavalcarono il Dipartimento di Stato in favore del Dipartimento al Commercio, che consideravano più ricettivo. "Se una porta si chiude davanti a te", dice Talabani, "passa dalla finestra". Dopo numerosi incontri con la Iraq Task Force del Commercio, aggiunge Talabani, "è prevalso il buon senso."

 

"In alcuni ambienti al Dipartimento di Stato, c'è questa visione di "somma zero": aiutare i kurdi significa danneggiare gli arabi", dice. "Al Dipartimento al Commercio avevano una prospettiva diversa. Iniziavano a rendersi conto che sostenere lo sviluppo delle zone più sicure del Paese non è nocivo per il resto del Paese".

 

Riunioni multiple, chiamate telefoniche, ed e-mail hanno ripagato il 20 febbraio di quest'anno, quando Franklin L. Lavin, il sottosegretario al Commercio per gli affari internazionali, è andato a Irbil per promuovere il Kurdistan come una "porta d'accesso" per gli affari Usa in Iraq. Lavin dice che la sua visita era pensata "per incoraggiare le compagnie che stanno guardando all'Iraq...a considerare particolari località che potrebbero rivelarsi scenari più fruttiferi per iniziare un business".

 

Talabani dice di considerare il viaggio di Lavin come un "grande successo", perché ha riguardato una agenzia governativa che "rivalutava il proprio modo di considerare il fare affari in Iraq".

 

Ma per Talabani e altri funzionari kurdi, rimane una barriera significativa agli investimenti: l'avvertimento del Dipartimento di Stato sui viaggi in Iraq, che ammonisce che il Paese è "molto pericoloso", senza fare distinzioni tra una regione e l'altra.

 

Talabani ha esortato il Dipartimento a modificare l'avvertenza, che a suo avviso "dice al potenziale uomo d'affari che tutto l'Iraq non è sicuro, e questo non è vero". Benché gli investimenti stranieri si stiano copiosamente riversando in Kurdistan, solo una minima parte proviene dalle grandi società Usa, aggiunge.

 

Lavin non ha voluto fare commenti sull'argomento, ma funzionari kurdi hanno detto che anche lui ha fatto pressioni sul Dipartimento di Stato perché corregga l'avvertimento.

 

In una lettera del 3 aprile indirizzata a Talabani, Maura Harty, l'assistente Segretario di Stato per gli affari consolari, ha detto che l'avvertimento "riflette accuratamente l'attuale situazione" in Iraq.

 

Talabani dice di avere in programma di spingere i membri del Congresso e i dirigenti di azienda a fare una petizione al Dipartimento di Stato.

 

"Abbiamo intenzione di continuare le pressioni", dice.

 

Il ministro e la troupe televisiva

 

Mentre si svolgeva la campagna di Washington, l'altra componente della strategia dei kurdi per costruirsi influenza stava prendendo forma a tre isolati dalla spiaggia di Santa Cruz, in California.

 

Bill Garaway, un ministro cristiano evangelico, si era reso conto che i kurdi avevano un problema di relazioni pubbliche quando aveva annunciato ai suoi vicini della città di mare che stava facendo opera missionaria in Kurdistan.

 

"Loro chiedevano: 'Chi sono i kurdi?' ", ricorda Garaway. "Io rispondevo: 'Non c'è nessuno come loro nel Medio Oriente. Sono musulmani, ma odiano l'Islam fondamentalista. Amano l'America'."

 

In un viaggio in Iraq negli ultimi mesi del 2004, lanciò l'idea di mandare in onda spot per reclamizzare il Kurdistan negli Stati Uniti. I kurdi ne furono affascinati. Chiesero a Garaway di realizzare qualche spot.

 

Iniziò a filmare all'inizio del 2005, con una troupe televisiva che riprendeva bambini che sventolavano bandiere, compratori che passeggiavano in un nuovo centro commerciale, e soldati peshmerga che salutavano. Entro la fine dell'estate, aveva creato tre spot da trenta secondi.

 

Il primo, in cui una serie di kurdi guarda nella telecamera e ringrazia gli Stati Uniti, è andato in onda la scorsa estate sulle stazioni di news via cavo. Ha creato immediato scalpore.

 

"Vedere gli iracheni che dicono 'grazie' è stato molto efficace", dice Garaway. "Non è una cosa che la maggior parte degli americani aveva sentito prima".

 

Garaway, uno slanciato 62enne un po' stempiato, con i capelli grigi, si era innamorato dei kurdi più di un decennio fa, dopo aver concluso che molti degli eventi-chiave descritti nella Bibbia erano accaduti in Kurdistan, incluse le storie dell'Arca di Noè e della regina Esther. Crede non solo che i kurdi siano discendenti degli antichi Medi, ma anche che i tre saggi che secondo la Bibbia si recarono a far visita a Gesù Bambino a Betlemme venissero dal Kurdistan.

 

Per Garaway, sostenere la causa kurda è stato l'ultimo colpo di scena in una vita piena di svolte inattese. Come racconta, aveva partecipato alle proteste contro la guerra in Vietnam da studente universitario, bruciando la sua cartolina precetto in una manifestazione all'Università della California (UCLA) nel 1967. In seguito aveva vissuto in una comune con altre 140 persone sulle colline sopra Palo Alto, in California, dove aveva diretto una cooperativa alimentare, insegnato yoga, fatto amicizia con i membri dei Grateful Dead [si tratta di uno dei più celebri e influenti gruppi pop-rock statunitensi di tutti i tempi, attorno ai Grateful Dead nacque una sorta di culto; alcuni loro fan seguirono il gruppo in concerto per anni, vivendo di fatto come nomadi in onore della loro devozione verso "the Dead", NdT], ospitato il poeta Allen Ginsberg nella sua capanna. Un giorno, un gruppo di amici che avevano lasciato la comune ritornarono e invitarono Garaway a unirsi alla loro chiesa. Lui lo fece, e poco dopo, dice: "Dio mi si è rivelato".

 

Lui e sua moglie si stabilirono a Santa Cruz nei primi anni '70, dove aprirono una chiesa, iniziarono a praticare il surf, e a metter su famiglia. Hanno avuto sei figli, e tutti sono stati educati a casa. Quattro sono diventati surfisti professionisti.

 

Garaway, che ha lavorato come presidente di un'organizzazione umanitaria cristiana che opera nel nord dell'Iraq, dice che i kurdi dovrebbero avere una patria indipendente – una prospettiva che va ben oltre le posizioni dichiarate di Qubad Talabani e altri leader kurdi.

 

"Dei migliori valori americani, ce n'è più in Kurdistan che in qualsiasi altra zona del mondo islamico", dice. "Dovremmo incoraggiarli, non sbarrar loro la strada."

 

Garaway ha ingaggiato la Russo Marsh & Rogers, un'azienda di consulenza politica di tendenze Repubblicane che ha sede a Sacramento, per piazzare gli spot. L'azienda è strettamente affiliata con Move America Forward, un gruppo conservatore di sostegno che ha organizzato manifestazioni per continuare le operazioni militari in Iraq. L'anno scorso, il gruppo ha invitato il direttore della Kurdistan Development Corporation (Società per lo Sviluppo del Kurdistan), che ha coordinato il pagamento per gli spot, a parlare nel corso di un pranzo ufficiale a San Francisco, in cui avevano un ruolo importante i genitori dei militari caduti in Iraq.

 

Move America Forward ha anche organizzato un viaggio per i genitori per visitare il Kurdistan, dove si sono incontrati con Mas'ud Barzani e altre personalità kurde. Garaway ha detto che lui e Salvatore Russo, il principale stratega della Russo Marsh & Rogers, avevano fatto in modo di essere lì contemporaneamente.

 

I genitori sono ora "alcuni tra i più decisi sostenitori dei kurdi", dice Russo. "Per loro, è una prova del fatto che i loro figli non sono morti invano."

 

Dopo il viaggio, Move America Forward e i genitori hanno diffuso un appello-inchiesta per "sviluppare e mantenere una maggiore presenza militare da parte degli Usa nel Kurdistan iracheno" - un obiettivo-chiave per i leader kurdi.

 

Adesso Garaway spera di portare la sua campagna nazionale pro-Kurdistan al "prossimo livello" con un partner influente a Washington: il meccanico diventato lobbista Qubad Talabani. Garaway ha incoraggiato Talabani e altri leader kurdi a spendere parecchi milioni di dollari quest'anno per far passare tutti e tre gli spot sulle reti televisive in prima serata. "Se un numero maggiore di americani vede questi spot, possiamo avere un approccio più razionale per affrontare la guerra", dice.

 

Fare in modo che gli americani "capiscano la nostra storia", concorda Talabani, è essenziale per i kurdi.

 

"Noi abbiamo una vera storia di resistenza del perdente, che condivide i valori dell'America, che sta avendo successo", aggiunge. "Non è diversa dal sogno americano".

 

Ha contribuito a questo articolo la ricercatrice della redazione Julie Tate

 

 

(Traduzione di Fabiana Spozio per Osservatorio Iraq)

 

 

Articolo originale


:: Article nr. s6392 sent on 04-may-2007 15:02 ECT

www.uruknet.info?p=s6392

Link: www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=4776



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