Notizie dall'Iraq occupato - 5 luglio 2007
* Iraq, due militari statunitensi uccisi da una bomba<
* Baghdad: bomba contro festa nozze: 17 morti
* Nel mese di giugno 540 cadaveri ritrovati a Baghdad con mutilazioni e segni torture
* Australia: "In Iraq anche per petrolio
* Violenti scontri a Samawa
* Rapiti 4 cristiani in fuga da Baghdad
* Minoranze cristiane in Iraq. ''Il governo non ci da protezione'
* Minoranze cristiane in Iraq. Fuga da Baghdad sul taxi di un amico islamic
* Turchia: Pkk, governo si dice pronto a operazione in nord Iraq
* Iraq.: più contractors che soldati
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Notizie dall'Iraq occupato - 5 luglio 2007
Agenzie
Iraq, due militari statunitensi uccisi da una bomba
Una bomba esplosa nella zona meridionale di Baghdad ha ucciso due soldati americani che viaggiavano in un mezzo corazzato durante un pattugliamento.
L'ordigno, ad alto potenziale di penetrazione, era di fabbricazione artigianale e, secondo Washington, fa parte di una serie di esplosivi forniti agli estremisti iracheni dal vicino Iran. Durante la stessa esplosione altri due militari statunitensi sono rimasti feriti.
Iraq, bomba contro festa nozze: 17 morti
Attentato ad Abu Dshir, enclave sciita del quartiere meridionale di Dora, a maggioranza sunnita. Fra i feriti anche la coppia di sposi
BAGDAD - Sono almeno 17 le persone rimaste uccise a Baghdad dall’esplosione di un’autobomba nei pressi di un un negozio di fotografie, dove una coppia di sposi si stava sottoponendo agli scatti di rito con parenti e amici. Lo hanno riferito la polizia e fonti ospedaliere. Ventotto persone sono rimaste ferite, tra cui anche la coppia di sposi. L’attentato è avvenuto ad Abu Dshir, enclave sciita a sud della capitale attigua a un quartiere a maggioranza sunnita. Un testimone ha raccontato di aver visto due minibus con all'interno dei corpi carbonizzati. Alcune fonti parlano di un attentato kamikaze ed affermano che l'autobomba, inseguita dalle forze di sicurezza, è stata lanciata a tutta velocità contro gli invitati allo sposalizio. Il ristorante Al Baghdadi e i negozi circostanti hanno subito gravi danni.
Nel mese di giugno 540 cadaveri ritrovati a Baghdad con mutilazioni e segni torture
BAGHDAD, 5 LUG - I cadaveri ritrovati a Baghdad nel mese di giugno e' risalito in modo consistente, fino a 540. Tutti i corpi mostrano mutilazioni, segni di torture, mani e piedi legati. I dati, diffusi da fonti di polizia, sono in contrasto con il calo del numero delle vittime di attacchi, scontri e attentati a Baghdad nel mese di giugno, circa il 36% in meno, con un totale di 1342, rispetto alle 1951 di maggio.
Australia: "In Iraq anche per petrolio"
Il primo ministro australiano John Howard dovrebbe comunque escludere un imminente ritiro delle truppe australiane dall’Iraq
Il ministro della Difesa, Brendan Nelson, ha ammesso che il greggio «è stato un fattore determinante nella scelta di contribuire alla guerra»
In attesa del discorso del primo ministro australiano John Howard, che dovrebbe escludere un imminente ritiro delle truppe australiane dall’Iraq, il ministro della Difesa, Brendan Nelson, ha ammesso che il petrolio «è stato un fattore determinante nella scelta di contribuire alla guerra», considerando come «cruciale» la stabilità e la «sicurezza energetica» nel Medio Oriente. Lo si apprende dal quotidiano The Australian.
«L’intero Medio Oriente è un fornitore di energia fondamentale per il mondo intero - ha detto il Ministro - e proteggere le risorse energetiche è una delle priorità per le nostre truppe». Nelson ha affermato che l’obiettivo della permanenza australiana in Iraq è di prevenire le violenze tra sciiti e sunniti e di portare la stabilità nella regione. «Lasceremo l’Iraq soltanto quando la situazione si sarà normalizzata», ha concluso il Ministro.
I laburisti australiani: «Pensiamo a sconfiggere il terrorismo nel nostro paese, non in Medioriente»
L’Australia dovrebbe combattere il terrorismo «nel proprio cortile, piuttosto che in Medio Oriente». È l’opinione di Robert McClelland, portavoce degli Affari esteri dell’opposizione laburista. Opposizione che «ha supportato il coinvolgimento australiano in Iraq, ma che crede che le nostre risorse potrebbero essere sfruttate meglio in casa», ha detto McClelland alla radio pubblica Abc.
«È nella nostra regione che possiamo contribuire nel modo migliore alla lotta al terrorismo internazionale», ha proseguito il portavoce laburista. Riferendosi all’ammissione del ministro della Difesa («il petrolio è stato un fattore determinante nella scelta di partecipare alla guerra»), McClelland ha affermato: «Hanno avuto bisogno di 4 anni per ammetterlo».
Iraq, violenti scontri a Samawa
Osservatorio Iraq, 5 luglio 2007
E' salito il bilancio delle vittime dei violenti scontri scoppiati a Samawa nelle prime ore della mattinata di oggi tra le forze di sicurezza irachene e membri dell'Esercito del Mahdi, la milizia fedele al leader sciita Muqtada al Sadr.
Lo riferisce l'agenzia di stampa irachena indipendente Aswat al Iraq, citando fonti mediche e della sicurezza locali.
"Le vittime degli scontri sono salite a tre morti, fra cui un poliziotto, e nove feriti, di cui tre poliziotti e una donna, alcuni dei quali sono in condizioni gravi", ha detto una fonte dell'ospedale di Samawa all'agenzia di stampa.
Secondo alcuni testimoni oculari, citati da Aswat al Iraq, gli scontri sono iniziati verso le 4 del mattino, concentrandosi nei sobborghi meridionali della città, con l'utilizzo di mitragliatrici e lanciagranate (RPG).
Già ieri sera, nella città, che è capitale della provincia di Muthanna e si trova 280 km a sud di Baghdad, c'erano state ore di tensione, quando miliziani dell'Esercito del Mahdi erano scesi in strada dopo che si era diffusa la voce che una pattuglia delle forze di sicurezza stava scortando il corteo delle auto del capo dell'ufficio locale di Muqtada al Sadr, Ali al-Khirsan, che tornava a casa dalla vicina cittadina di al-Rumitha.
C'erano timori che al-Khirsan potesse essere arrestato, dopo uno scambio di accuse che aveva avuto con il governatore di Muthanna, Muhammad Ali al Hasani, che due giorni fa aveva attribuito a elementi vicini all'ufficio di Sadr la responsabilità di alcune "violazioni della sicurezza" avvenute negli ultimi tempi nella provincia.
Secondo diversi testimoni oculari, le autorità preposte alla sicurezza si sono affrettate a chiudere le strade principali, cosa che ha provocato gli scontri.
Ora, secondo quanto affermano fonti locali citate dall'agenzia di stampa irachena, le forze politiche e religiose e i notabili locali stanno cercando di contenere la crisi.
Una fonte della sicurezza ha riferito che quattro granate di mortaio sono cadute sul compound dove hanno sede il governatorato e il Consiglio Supremo Islamico Iracheno (ex Consiglio Supremo per la rivoluzione islamica in Iraq, uno dei maggiori partiti sciiti che fanno parte della coalizione di governo, e che controlla la provincia di Muthanna), ma non hanno causato vittime.
Secondo la stessa fonte, un colpo di mortaio è caduto nei pressi dell'edificio che ospita il Dipartimento di Polizia di Muthanna, nel centro di Samawa, ferendo due poliziotti.
Finora, da parte delle autorità locali non ci sono stati commenti ufficiali sull'incidente nel quale è stato coinvolto Khirsan o sugli scontri di oggi.
Muthanna è la prima provincia dell'Iraq a essere passata sotto il controllo delle forze irachene, nel luglio 2006.
[O.S.]
Fonte: Aswat al Iraq
Rapiti 4 cristiani in fuga da Baghdad
Baghdad (AsiaNews) – Fuggivano da Baghdad e dalle quotidiane minacce di morte, ma sono stati rapiti sulla strada per Kirkuk. È successo ieri mattina a 4 cristiani caldei, secondo quanto riferito da fonti di AsiaNews nella zona. Si tratta di Georges Isaak e suo figlio Stuart, Shaqat Youssif e Martin Yacoub. Il sequestro è avvenuto nei pressi della cittadina di Salman Beck, 120 km a sud di Kirkuk.
I 4 volevano raggiungere il loro villaggio di Daiabun, vicino Zakho, nel Kurdistan iracheno; i terroristi avevano minacciato più volte di ucciderli, se non avessero lasciato la capitale. I responsabili religiosi del posto stanno cercando contatti con i rapitori.
La dinamica e il contenuto delle minacce contro i cristiani è lo stesso da mesi a Baghdad: o la conversione o abbandonare tutto senza portare nulla con sé. "In un contesto di completa assenza di regole e rispetto delle autorità – raccontano le fonti di AsiaNews, che chiedono l’anonimato - i criminali fanno ciò che vogliono: possono minacciare, rapire, uccidere". Dopo aver "ripulito" il quartiere di Dora, la campagna di terrore per costringere alla fuga i cristiani ha preso di mira le zone di Alameria e Hai-Aljameea.
Ma violenze e rapimenti colpiscono in modo indistinto anche sunniti e sciiti e l’unica possibilità di salvezza è ormai, per chi se lo può permettere, la fuga. A metà giugno, dopo il secondo attacco alla Moschea d’Oro di Samarra, stime non ufficiali hanno parlato di 400 famiglie musulmane fuggite da Baghdad in una sola settimana, per paura di rappresaglie e nuove violenze settarie.
Minoranze cristiane in Iraq. ''Il governo non ci da protezione'' <
di Anna Mahjar Barducci
Avvenire, 5 luglio 2007
Akram Danha è uno dei membri dell’associazione culturale Caldea; tre anni fa, a causa delle continue minacce da parte dei terroristi, ha dovuto abbandonare Baghdad; adesso, vive a Erbil, città del Kurdistan iracheno, dove ha deciso di continuare a battersi, ora più di un tempo, per i diritti dei cristiani del Paese sia a livello politico sia sul piano sociale.
Danha, che collabora con la Commission for Christian Minority Rights, ha accettato di rispondere alle nostre domande sulla situazione dei cristiani in Iraq.
Da quanti fedeli è composta la comunità cristiana del Paese?
La comunità cristiana in Iraq è formata da diverse Chiese, le più numerose sono quella dei caldei, degli assiri, e degli armeni. Prima della guerra, nel Paese c’erano più di un milione di cristiani. Adesso, però non esistono statistiche. La maggior parte di noi ha lasciato il Paese o si è trasferita qui in Kurdistan.
Perché in Kurdistan?
Molti cristiani sono venuti a vivere qui. Il governo kurdo ci ha accolto bene. La popolazione, inoltre, è stata ospitale ed ha saputo comprendere la nostra condizione. Il Kurdistan, pertanto, si è trasformato nel primo rifugio dei cristiani iracheni.
Come vi sta aiutando il governo kurdo?
In Kurdistan è previsto che ai rifugiati cristiani sia dato un appoggio finanziario per ricominciare una nuova vita nella regione.
I cristiani che sono rimasti a Baghdad e in altre località irachene sono appoggiati dal governo centrale?
No, se il governo ci avesse protetto non saremmo stati costretti ad abbandonare le nostre case. Coloro che sono rimasti sono perseguitati, minacciati e maltrattati dai jihadisti che ci chiedono di pagare la jiziya (tassa dei dhimmi) e ci impongono di convertirci all’Islam con la forza. Le donne cristiane, inoltre, vivono come prigioniere nelle loro case e sono obbligate a indossare il velo islamico.
Nei giorni scorsi si parlato di costruire un "ghetto assiro" nella piana di Ninive, ai confini con il Kurdistan, per salvare i cristiani in Iraq. Quale è la posizione della comunità cristiana sul tema?
Il progetto è stato sostenuto dalla comunità cristiana nella diaspora negli Stati Uniti. Ma questa non è una soluzione. La maggior parte dei cristiani che vive in Iraq, pensa che sia un’idea sbagliata. Diventeremo immediatamente una zona vulnerabile e facilmente attaccabile. Noi cristiani vorremmo, invece, che il governo fosse più presente e attuasse la Costituzione, preoccupandosi di più della condizione delle minoranze nel Paese. Inoltre, vorremo avere la possibilità di vivere nelle nostre città e non essere costretti a spostarci. Io, per esempio, sono del quartiere al-Dura di Baghdad e vorrei ritornare nella mia casa.
I cristiani sono rappresentati politicamente in Iraq?
Nel Parlamento iracheno ci sono due deputati cristiani Abdel Ahad Ifram e Yussef Kanna. In Kurdistan, però, esistono associazioni, partiti cristiani come il partito democratico caldeo, movimenti culturali e religiosi. Il Kurdistan, è la regione dove siamo più rappresentati e più sicuri.
La comunità cristiana in Iraq si sente abbandonata dalla comunità internazionale?
Si. Le nostre chiese sono distrutte e bruciate, ma i media e l’opinione pubblica rimangono in silenzio.
Minoranze cristiane in Iraq. Fuga da Baghdad sul taxi di un amico islamico
di Anna Mahjar Barducci
Avvenire, 5 luglio 2007
Mary, questo il nome fittizio che utilizzeremo per proteggere la sua identità, scappata da Baghdad agli inizi di giugno; per i cristiani come lei, infatti, non è più possibile vivere in Iraq.
Mary, che collabora via Internet per la Commission for Christian Minority Rights, da mesi non usciva dal suo quartiere cristiano di Baghdad al-Jadida.
Molti dei suoi vicini, infatti, sono rimasti vittime di attentati, mentre le chiese e le scuole degli assiri sono bruciate e messe sotto assedio dai terroristi.
Il figlio di Mary, di appena sette anni, studia a casa e non ha possibilità di giocare con i suoi coetanei.
«Non era più possibile vivere in Iraq - racconta Mary ad Avvenire. Agli inizi di giugno, pertanto, ho preso mio figlio e sono fuggita in Giordania».
Il marito di Mary, George, era già partito per Amman due mesi prima, dopo essere stato ferito da un’autobomba, mentre si recava a uno dei mercati della capitale. A causa delle ustioni provocate sul collo è stato costretto a partire in Giordania per ricevere trattamenti medici.
Mary, però, non aveva voluto partire immediatamente.
«A Baghdad vive ancora mio padre – spiega Mary, singhiozzando al telefono-. Ho cercato di convincerlo a lasciare l’Iraq, ma non vuole».
Racconta che una volta la sua famiglia aveva un negozio di elettrodomestici, proprio accanto a casa, ma è stato chiuso dopo le prime minacce di morte ricevute.
«Ogni quattro cinque giorni, i terroristi vengono a chiederci di pagare una tassa –dice Mary. In quanto cristiani, dicono che non abbiamo più diritto di vivere nel nostro Paese».
Il padre, però, non vuole lasciare la sua casa dove è vissuto per tutta la sua vita. Agli inizi di giugno, pertanto, Mary si è messa in contatto con un amico musulmano di suo marito per organizzare la fuga soltanto con il figlio.
«Ahmed fa il tassista a Baghdad. I suoi genitori erano amici dei miei suoceri –racconta. Sapevo di potermi fidare e gli ho pertanto chiesto di portarmi in Giordania per 150 dinari».
Si sono dati appuntamento la mattina presto, nel taxi c’erano altri cinque passeggeri diretti ad Amman.
Ahmed le aveva raccomandato di non dire che lei e suo figlio erano cristiani, pertanto, per tutto il viaggio non ha mai parlato.
«Il taxi era abbastanza nuovo e Ahmed suonava audiocassette coraniche –dice Mary- nel caso qualche gruppo armato ci avesse fermato».
Per Mary, la strada sembrava non finire più e il caldo era soffocante.
Il taxi ha attraversato tutto il sud attraverso Falluja e Ramadi per poi arrivare nell’autostrada H3, che porta in Giordania.
Alla frontiera non hanno avuto problemi. Dalla parte irachena, ci sono i soldati americani di pattugliamento.
«La polizia giordana, invece, mi ha soltanto fatto alcune domande e poi mi ha lasciato entrare nel Paese senza problemi – racconta Mary. Soltanto un ragazzo sciita è stato rimandato indietro».
Appena arrivata ad Amman, suo marito era ad aspettarla. La sera sono andati al Regency Hotel, accanto al ministero dell’Interno giordano, dove alloggiano temporaneamente molti cristiani iracheni.
«Quella è stata la prima notte che mio figlio ha dormito tranquillo –spiega. A Baghdad l’elettricità va via per ore e nel buio sentivamo soltanto lo scoppio delle bombe».
Mary, adesso, spera di iniziare una nuova vita.
Ha ricominciato anche a indossare una piccola croce d’oro.
La sera, però, ascolta le canzoni di Kadhem Assaher, noto cantante iracheno, e pensa a suo padre, alla sua Baghdad che ha lasciato. Proprio ieri mattina, infatti, ha ricevuto la notizia che uno dei suoi amici era stato ucciso da un’auto bomba.
Turchia: Pkk, governo si dice pronto a operazione in nord Iraq
ANKARA - Il premier turco, Tayyip Erdogan, e il suo ministro degli esteri, Abdullah Gul, hanno rilasciato la notte scorsa dichiarazioni favorevoli a un'operazione militare in Nord Iraq (per eliminare i campi del Pkk). La stampa e gli osservatori definiscono per� stamani tali dichiarazioni come miranti solo a schivare le critiche dei partiti di opposizione nei comizi elettorali in vista delle elezioni del 22 luglio.
Più contractors che soldati
Maurizio Matteuzzi
Nel 2003 il presidente Bush si era messo alla testa della crociata civilizzatrice e aveva dato il segnale della carica alla «coalizione dei volenterosi» lanciata nella liberazione/democratizzazione dell'Iraq. 4 anni d'impantamento dopo, «the coalition of the willing» è diventata «the coalition of the billing» Dalla coalizione dei volenterosi alla coalizione dei pagatori, nel calambour preso dal servizio sui contractors pubblicato ieri dal Los Angeles Times.
Il passaggio dai willing ai billing - dalle grandi imprese nazional-
ideali a quelle più prosaiche commercial-private - sta tutto in due dati: in Iraq i contractors privati sono ormai 180 mila contro i 160 mila soldati Usa. Dei 180 mila contrattisti, fra quelli addetti a compiti di supporto - una sorta di uomini di conforto della nostra epoca - e i security contractors - quelli armati -, 21 mila sono americani, 43 mila stranieri, e 118 mila iracheni. Questi ultimi i più fortunati e i più sfigati insieme, perché visto come vanno le cose saranno quelli che faranno la fine dei vietnamiti arrampicati sul tetto dell'ambasciata Usa a Saigon protesi verso l'impossibile elicottero della salvezza. Nel 2007 gli Usa consentiranno l'entrata, sulla carta, a 7 mila iracheni. In realtà i fortunati sono stati finora solo poche decine. Cornuti e mazziati.
Un ex-generale americano all'antica dice che la pratica del Pentagono di «affittare fucili» è «un'oscenità». In realtà è una meraviglia. Per Bush è la quadratura del cerchio. Con la guerra fa felice il complesso militare-industriale di sempre, privatizzandola risponde ai dettami dell'equazione liberismo-deregulation. Casualmente fra le principali agenzie contrattiste risuonano nomi noti: la KBR di Houston che è (o è stata) una sussidiaria della Halliburton del vice di Bush, Dick Cheney; la vecchia ITT di cilena memoria... Oh, che bella guerra.
Iraq, niente contratti petroliferi alle compagnie dei Paesi occupanti, chiedono i 'sadristi'
Osservatorio Iraq
Alle numerose voci che si oppongono alla legge sul petrolio si sono aggiunte anche quelle dei seguaci del leader sciita Muqtada al-Sadr, che hanno fatto sapere oggi che non daranno il loro appoggio a nessun provvedimento che permetta alle società dei Paesi "i cui governi stanno occupando l'Iraq" di firmare contratti petroliferi.
"Respingiamo questa legge poco chiara, che contiene diversi punti che ci impediscono di accettarla", ha detto oggi dalla città santa sciita di Najaf lo sceicco Salah al-Obaidi, un portavoce dell'ufficio locale di Sadr, aggiungendo che "questa legge non ha alcuna base nella realtà irachena".
Secondo il capogruppo dei deputati 'sadristi', Nassar al-Rubai'e, la principale obiezione del suo movimento riguarda i Production-sharing agreement (PSA) – gli accordi di condivisione della produzione con le compagnie petrolifere straniere, il cui obiettivo sarebbe quello di incoraggiare gli investimenti nel settore petrolifero iracheno.
"Il problema più grave di questa legge sono i Production-sharing agreement, che respingiamo categoricamente", ha detto al-Rubai'e, aggiungendo che questi tipi di contratto, che permettono alle compagnie straniere di ripartire gli investimenti e i profitti con lo Stato, "metterebbero a repentaglio la sovranità dell'Iraq nel breve termine, e priverebbero il Paese della sua sovranità a lungo termine".
Il capogruppo dei parlamentari 'sadristi' – che hanno 32 seggi in Parlamento (su 275) – ha insistito che il suo movimento voterà sì alla legge solo se verrà inserito un emendamento che vieti di assegnare contratti petroliferi alle "compagnie i cui governi stanno occupando l'Iraq".
[O.S.]
Fonte: Agence France Presse
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